Lavoro autonomo e nuovi Ordini

by | 22 Feb, 2016

di Paolo Grassi 
 
Se una cosa sembra aver percepito la politica, è il limite alla sopportazione raggiunto dalla gente: s’è innescata così una fase finalizzata a porne i giudizi in fase di attesa con una conclamata concretezza ad un contrasto alle distorsioni della pubblica amministrazione, una maggiore attenzione ai rapporti europei ed internazionali o al rilancio di iniziative di supporto alla ripresa economica e sociale
Si è così teorizzato sulla riforma delle società pubbliche locali, sul divario di investimenti strutturali Nord/Sud, sui costi della inefficienza amministrativa e delle posizioni debitorie, del deficit logistico-infrastrutturale, corruzione, sui ritardi della giustizia civile o sui provvedimenti nei confronti dei cosiddetti “fannulloni”: tutto ciò appare una significativa inversione di tendenza alla storica sottomissione della politica ad interessi di parte. Ciò pur se gli investimenti nelle infrastrutture strategiche sono alla fine concentrati principalmente al Nord, senza correggere quell’equilibrio nella dotazione di infrastrutture utile incentivo per il Sud alla localizzazione di iniziative di sviluppo: anche, può prendersi atto di una più ferma rivendicazione a tali diritti di talune Regioni, così come un’inversione di tendenza alla scellerata gestione delle risorse turistiche ed ambientali al Sud.
Oggi, entra pesantemente in ballo, con particolare rilievo per le libere professioni tecniche, la sfida sociale e culturale che il Governo ha impostato con  i DDL sul lavoro autonomo, affidato al prof. Nannicini,  specularmente ad analogo DDL di iniziativa parlamentare, al fine di riconoscerne  pari dignità e  potenzialità anche in termini qualitativi ed occupazionali: dovranno essere affrontati temi caldi ai quali storicamente la politica ha fatto orecchie da mercante. Oltre alla giusta estensione di misure di tutela sociale, assistenziale e previdenziale o sul ritardo nei pagamenti, si pongono temi, da tempo evidenziati da associazioni interprofessionali quali Federarchitetti e Confedertecnica, quali la partecipazione dei liberi professionisti ai finanziamenti comunitari, una migliore informazione ed accesso agli appalti pubblici, l’unificazione dei regolamenti edilizi, la riduzione delle centrali di committenza con l’introduzione di requisiti favorenti il coinvolgimento dei professionisti eliminandone le attuali barriere di emarginazione.  Emerge ancora il ruolo preponderante della pubblica amministrazione nella progettazione, che concorre ad insabbiare lo sviluppo del settore professionale in Italia anche in chiave internazionale come sottolineato anche dall’OICE.
Ora, se si vuole confermare l’auspicata logica  di una maggiore indipendenza della politica anche nel campo delle professioni, dovranno essere portati a soluzione due nodi storici che altrimenti ridurranno ogni altro provvedimento al solo effetto -propagantistico/pannicelli caldi-: il primo, le competenze tra attività pubblica e privata, il secondo, il ruolo degli Ordini professionali. Il coinvolgimento del lavoro autonomo nei servizi di progettazione è oggi al di sotto del 5%; la delega di svolgimento degli stessi alle stazioni appaltanti ha favorito inefficienze ad ogni livello, lavori di cui non si conoscono i veri esecutori, poca trasparenza, con tutte le ripercussioni che ne conseguono nelle esecuzioni delle opere; fenomeni ben evidenziati anche dalla Autorità anticorruzione.
Ma è sul secondo tema che si misurerà la forza dell’esecutivo: Ordini si, Ordini no, quali Ordini. Chi scrive ha più volte evidenziato come il ruolo attuale continua ad essere poco proficuo sia per i professionisti che per le stesse istituzioni e dunque per la società in genere. Successivamente alla liberalizzazione delle tariffe, nella necessità di una nuova identità, ne sono accresciute le problematiche, con l’introduzione di protocolli e regole, come l’obbligo di formazione continua e generica, in forme che costituiscono un appesantimento risibile anche dal punto di vista culturale.
Tali perplessità sembra finalmente comincino ad emergere, come il palese giudizio espresso da soggetti non secondari della scena politica quali Rosy Bindi, Presidente della Commissione parlamentare antimafia e Raffaele Cantone, Presidente dell’Autorità anticorruzione. Sul tema, la prima ha sottolineato come l’intervento degli Ordini è tardivo intervenendo solo dopo che una sentenza è passata in giudicato: se si vuole essere efficaci in tema di antimafia, l’azione deve essere anche preventiva: oggi tale azione è inesistente e“l’idea di una antimafia degli Ordini è ingenua”. Anche Cantone ha sottolineato l’importanza di mettere in campo misure di prevenzione e non solo di repressione. Da ciò emerge che crescono le perplessità sulle loro attuali funzioni. Ritengo che, allo stato, gli Ordini non portano alcun beneficio giustificandone la soppressione. Diversa è l’ipotesi se si attribuissero loro finalità del tutto diverse alle attuali, ponendoli come supporto allo sviluppo del settore dei servizi  e della semplificazione amministrativa delle procedure, nazionale ed internazionale. In sintesi, quali “Agenzie di Ricerca e Sviluppo”, sulla falsariga delle Camere di Commercio, con sedi regionali, Consigli di Amministrazione eterogenei e strutture tecniche legali ed amministrative finalizzate a favorire un’ampia partecipazione e conseguente crescita anche alle strutture professionali medio piccole in Europa e non solo. Attenderemo con interesse le risultanze.

paolograssi@libero.it

*Paolo Grassi è stato presidente nazionale di Federarchitetti, ed ha inviato questo contributo al Corriere della Sera.